L’architetto vive dello spazio. Lo studia, lo modella, lo riempie di forme, volumi. Il designer crea oggetti. Il lighting designer guarda lo spazio, nudo o modellato, gli oggetti nel loro uso e consumo e osservando tutto lo scenario ne rileva la funzione che dovrebbe essere percepita dall’osservatore o utilizzatore.
di Oreste Griotti
Il lighting designer deve prima di tutto amare la luce. Poi capirne la sua funzione e la sua capacità di comunicazione.
E da lì parte, per così dire, il momento dinamico dell’analisi dello spazio analizzato o dell’oggetto osservato. Questa è solo un premessa, con un vago sapore astratto, che apre ad un’analisi di installazioni, bellezze e di valori che la luce sa mettere in mostra.
Ma portandomi ad una distanza ravvicinata su quanto vorrei dire, parto da un esempio / caso tra i più comprensibili, l’interno di una chiesa.
In questo luogo, dal mattino all’imbrunire la luce fa vivere e modella altari e cappelle, panche e sculture. E se la chiesa è vuota è un conto: ma quando è piena di fedeli, c’è una funzione, ci sono visitatori che vogliono vedere un certo quadro o il soffitto?
E la sera apre un nuovo discorso. Il buio non deve nascondere gli oggetti di pregio, le prodigiose armonie dei materiali diversi, la luce va tenuta sempre “ sotto controllo”.
Un parco, un giardino, una piazza: per il lighting designer l’analisi del “momento dinamico” si fa più complessa sempre dai soliti punti di vista: giorno, notte, sole, nebbia, bambini e parco giochi, alberi, fontane e vuoto assoluto, parcheggi, sicurezza, inquinamento luminoso: il tutto esercita un’ influenza diretta o indiretta sul valore delle cose e sulle soluzioni che ne derivano.
Poi c’è l’illuminazione degli uffici, terreno fertile dove tutta la tecnologia presenta sorprendenti proprietà. Il lighting designer guarda questi luoghi e nella sua mente scorre a grande velocità il video dei vari e diversissimi momenti di vita di quello spazio o di quell’oggetto.
Luci e ombre creano quella nuova dimensione alla quale, in molti casi, l’architetto non ha pensato e il designer ancora meno. Ed ecco che nella mente del lighting designer si accende, ma no, prende forma, il progetto illuminotecnico.
E parte la prima riunione in studio con collaboratori che analizzano l’oggetto
o la COSA da illuminare. Si fanno schizzi e proiezioni. C’è chi disegna e chi progetta, chi fa calcoli e chi sfoglia cataloghi e chi va alla finestra a pensare.
Questa mia traccia o premessa, è di cogliere, isolare ed esporre in poche parole l’immenso lavoro creativo che sta dietro ogni progetto illuminotecnico e quale sforzo richiede arrivare ad un risultato comunicabile con un cambio di registro dal pensiero astratto alla tecnologia che concretizza e rende percepibile l’idea. Secondo me l’illuminazione riassume l’esperienza personale, la cultura del progetto, una cultura tecnologica molto bene articolata che non concede nulla e non soccombe al tecnicismo, la gestione della confusione oggettiva che si trasmette in una stupefacente
varietà di soluzioni.
Ma l’argomento è sconfinato: la luce ci ha portato a conoscere ed analizzare
oggetti, materiali, cose che dieci anni fa non sapevamo di avere, ci ha dato il gusto e i mezzi per leggere gli oggetti e le cose dell’uso più corrente.
LA LUCE E’ UN SEGNO DEI TEMPI. UN BUON SEGNO.
Cinzia Ferrara è un architetto e lighting designer sulla scena del mondo dell’architettura e del progetto da diversi anni e insieme all’ingegnere Pietro Palladino hanno creato a Milano lo studio FERRARA PALLADINO LIGHTSCAPE.
Cinzia Ferrara , sempre in simbiosi con Palladino e lo Studio, si è occupata di cattedrali, ponti, navi, giardini, stazioni ferroviarie e aeroporti, musei, palazzi, università. Non le è mancato nulla per divertirsi mentre i suoi sforzi creativi trasformavano la tecnologia in ben visibili immagini della quotidianità senza tralasciare il design totale di una ricca famiglia di apparecchiature utilizzate in varie installazioni e/o progettate per aziende, ad esempio DISANO, FONTANA ARTE ed altre.
Cinzia Ferrara aiuta a far LEGGERE le cose che tutti hanno già visto, conosciuto ma non ne avevano mai captato il complesso o semplice significato e funzione.
Le altissime volte tra i 45 e 68 metri del Duomo di Milano, il soffitto, insomma, descritte, decantate, ammirate da milioni di persone dall’XIV secolo ma MAI VISTE nella loro purezza, da un anno sono visibilmente illuminate per essere leggibili nella loro interezza.
In questa installazione Pietro Palladino ha espresso il suo alfabeto ( un’inedita alleanza tra l’ingegnere e il designer) in una mise en scene che offre una fruizione totale delle volte.
Si guarda in alto e si leggono finalmente le nervature dei pilastri, la trama della struttura tardo gotica, si vedono intarsi, è riapparso il colore bianco rosato con venature grigie del marmo di Candoglia, la luce nuova svela quella iconicità che ha fatto del Duomo di Milano il simbolo dell’arte gotica lombarda.
Senza tralasciare l’illuminazione della Madonnina a ben 108 metri d’altezza dal sagrato.
Ma il designer che c ‘è in Cinzia Ferrara all’aeroporto di Malpensa spicca il volo con ali di luce e offre ai viaggiatori una visione spaziale delle aree di arrivo e partenza con lampade che sembrano gabbiani che ad ali aperte si sono planati sulle pareti.
Cinzia parla poco: ma quel poco che dice lo sussurra con un stretto elegante sorriso, non gesticola. E’ sobria, determinata, i suoi occhi non guardano, penetrano, analizzano e a volte gelano a volte riscaldano, ti accendono, ti fanno venir voglia di conoscere come sta disegnando nella mente quella stanza, quell’area verde, quella galleria della stazione. Lei non si ferma sulle superfici che deve illuminare ma va a scavare nella loro anima.
E nel ricco straordinario portfolio di referenze si trova l’intervento del 2006 a Venezia per ’illuminazione degli interni di Palazzo Grassi ( progetto architettonico Tadao Ando), e a seguire quello del 2009 sempre a Venezia, alla Punta della Salute sede della Fondazione Francois Pinault, con Tadao Ando, per illuminare quanto lui magistralmente aveva progettato.
Non solo. Il suo macrocosmo creativo comprende l’illuminazione l’enorme
parco/giardino della nuova area CITY LIFE di Milano, tutta la zona binari e copertura della Stazione di Milano Centrale, l’illuminazione dell’atrio d’ingresso e copertura (dinosauro) e dell’edificio in via Marsala della Stazione di Roma Termini. Inoltre il Piano urbano della luce a Pesaro, l’illuminazione della Stazione di Porta Garibaldi a Milano ed altro ancora.
Cinzia Ferrara accumula conoscenze GUARDANDO, in quel modo penetrante che ho già detto, e poi nel suo studio, con i collaboratori, si accende, esplode, rivoluziona.
Ricordo un pomeriggio al Museo Poldi Pezzoli di Milano, nella stanza dove sono esposti la Donna del Pollaiolo e il Cristo di Giovanni Bellini.
Entro con lei ed altre tre, quattro persone. La stanza è in penombra, quelle due opere ed altre si vedono come le abbiamo sempre viste, insomma male.
Poi Cinzia, con il suo mezzo sorriso e gli occhi puntati al centro della stanza dice semplicemente ORA ad un tecnico nascosto da qualche parte.
E LA LUCE …FU! Pollaiolo e Bellini si sono svegliati per ringraziare la lighting designer che li aveva per così dire, tenuti ibernati per secoli, gli ha dato luce e vita, li ha tolti dalle ombre in cui nel bene e nel male si erano addormentati.
La protagonista di ogni attività espressiva di Cinzia è la luce. Che smargina dal luogo aperto o chiuso in cui si trova e posizionandosi sprigiona energia di comunicazione….la luce per lei è mosaico di psicologia che mette a nudo le verità nascoste di un quadro, un ‘altare, una biblioteca.
Ma non voglio insistere nella descrizione dei soli dettagli dei progetti di Cinzia Ferrarae di Pietro Palladino perché sono, fra mille altre cose, anche impegnati nella partecipazione in convegni e associazioni professionali, attivi nel realizzare percorsi di formazione e di conoscenze progressive della realtà progettuale.
A contatto con la nostra light designer che dà continuamente vita ad un vulcano di idee,forme, valori estetici, vorrei solo brevemente accennare alla sua idea di utilizzo ormai comune dei LED.
APRITI, SESAMO!
I LED 15,10 anni fa si sono affacciati sul nostro scenario e si è aperto un imprevisto
orizzonte progettuale: il Duomo di Milano, citato, forse è un esempio che conferma il recupero di una remota staticità.
E così al Museo Poldi Pezzoli, dove i LED hanno dato la possibilità di valorizzare tante bellezze e valori non solo di opere pittoriche, ma di arredi, vetrine, preziosi intarsi. I LED hanno contribuito, potrei dire costretto, i designer a riprendere in mano eccellenti progetti di lampade e riconsiderarli. Poi, a seguire, ha portato quasi tutti, più o meno, a ripensare le lampade in una nuova espressione formale e comunicativa.
Cinzia Ferrara sul piano progettuale, in tutti i suoi contatti e interventi in Italia e all’Estero, ha sempre sottolineato l’importanza della tecnologia LED quale macrocosmo che comprende il comportamento dell’utilizzatore e tutto il sistema sinergico corrispondente.
E aprendo un’altra finestra sull’illuminazione di uffici importanti, si nota che lei ha prestato a quest’area un’ attenzione che va oltre l’illuminazione essenziale e si è spostata all’analisi sulle condizioni delle persone durante le ore lavorative con uno sguardo alla loro concentrazione sulle attività.
La sua attenzione è sul linguaggio della luce: il suo dinamismo al mattino, pomeriggio e sera, il bioritmo naturale, il comfort visivo che certamente incoraggia la creatività.
L’uso dei LED, pur limitatamente al loro uso esterno e di interni, per così dire pubblici, quali uffici musei, alberghi e ristoranti, chiese, ormai fa parte della cultura del progetto che lo studio Ferrara – Palladino Lightscape estende fino alla produzione di apparecchiature su misura.
Oggi, in questo studio, si è abituati a vivere nel futuro, perché ormai anche i gamberi hanno rinunciato a tornare indietro!
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